DAY 19 – ASHGABAT

La notte trascorre insonne praticamente per tutti quanti i Fellaz. I sedili di Ariostone, nonostante lui sia il più matto in assoluto, non sono proprio il posto più adatto per una dormitina riposante. Massimo guida per le ultime ore, prima di arrestare la nostra marcia ai cancelli della frontiera Iraniana di Bajigaran, verso le 8.30 locali. Sbrighiamo le pratiche doganali abbastanza agevolmente, cosa inaspettata in quanto totalmente opposta a quanto avvenuto all’ingresso. Difatti, solamente una sommaria perquisizione dei nostri bagagli ed una piccola mazzetta all’uomo dell’agenzia sono sufficienti a concederci il nulla osta per procedere.
Fermi davanti ad una imponente raffigurazione di un sorridente Berdymukhamenov, due guardie in età di svezzamento e armate di pericolosissime borracce, ci controllano una prima volta i passaporti: i visti sono in ordine e ci indicano di proseguire verso l’edificio pericolante situato a pochi metri di distanza. Jacopo, il guidatore designato per i transiti doganali, parcheggia il Van e viene accompagnato di ufficio in ufficio per il controllo dei documenti di Ariosto. Gli altri 7 Fellaz, nel frattempo, si ritrovano in una sala d’attesa accogliente quanto un letto di un fachiro, senza idea alcuna di come comportarsi. La sala è piuttosto ampia ma gli sgabelli per sedersi si contano sulle dita, non ci sono bagni, non si può uscire e ben presto viene inondata da un’orda di donnine turkmene di ritorno da un outlet al di la del confine. Ben presto siamo circondati da scatoloni dal contenuto ignoto e tappeti dai colori variopinti.Non appena Jack si riunisce al gruppo, ci mettiamo in fila assai spaesati, circondati da una miriade di occhi curiosi. Allo sportello però veniamo rimandati indietro, spediti all’ufficio bancario lì accanto dove sborsiamo circa 600$, pari al prezzo del visto per un soggiorno di 3 giorni in Turkmenistan. Visto che la cassa GoodFellas piange dall’ingresso in Iran, Marco e Cristiano sponsorizzano il pagamento, speranzosi di veder saldato il cospicuo credito una volta ad Ashgabat (scopriremo più avanti che nemmeno in Turkmenistan esistono i Bancomat e sono aboliti i circuti Visa, Mastercard, ecc.). Otteniamo la ricevuta dell’avvenuta transizione e ci digirigiamo raggianti all’ufficiale di turno addetto al controllo visti e passaporti, il quale, molto “cortesemente” ed in perfetto Turkmeno, ci chiude lo sportello in faccia facendoci capire che è ora di pranzo.
Le fatiche della notte ci soprendono quando, affranti e perplessi, occupiamo quei pochi sgabelli rimasti liberi. L’ambiente tuttaltro che confortevole e una quantità infinita di simpaticissime mosche impediscono però anche il più piccolo dei riposini, quasi come se per l’ottenimento del visto Turkmeno sia obbligatorio uscire illesi da un’antica turtura cinese. Daniele e Federico, mostrando uno stomaco gorgogliante, si procurano un lasciapassare per rifornirsi dell’occorrente per una delle più classiche fagiolate in frontiera. Mentre sbaffiamo la succulenta pietanza notiamo come in sala d’attesa sembriamo gli unici ad avere i nervi a fior di pelle: tutte le altre persone pare abbiano azzerato le proprie funzioni vitali aspettando, silenziosi e immobili come statue di cera, la ripresa dei lavori. Un’improvvisa generale agitazione ci segnala che è ora di riprendere il nostro posto in coda e, dopo un breve controllo visivo della somiglianza tra foto sul passaporto e proprietario dello stesso, i nostri visti vengono approvati. Un ennesimo controllo e possiamo finalmente uscire all’aperto. Non possiamo ancora riprendere il cammino verso Ashgabat in quanto ci viene segnalato che manca il pagamento di un’ultima tassa sul veicolo. Jacopo pendola più volte tra noi e l’ufficio, costretto prima a tornare sui suoi passi per carenza di dollari, poi per cambiare una banconota da 20 usurata che l’ufficiale non accetta, in quanto scopriamo che in Turkmenistan vengono cambiate ad un tasso inferiore rispetto a quelle in buone condizioni. Al suo ritorno definitivo si porta con sè Max, la guida assegnataci dal governo con il visto turistico. Lo accogliamo con diffidenza e circospezione convinti ci accompagni per spiarci e riportare qualsiasi nostra conversazione agli alti organi di questo pazzo paese. I sospetti si fanno sempre più concreti nel momento in cui ci rivela di capire l’Italiano, anche se non ancora in grado di parlarlo perfettamente. Ligi comunque al senso di ospitalità, gli concediamo il sedile passeggero lato finestrino e, seguendo le sue indicazioni, ci dirigiamo verso Ashgabat.
Percorrendo le strade della capitale, il caldo diventa quasi insopportabile e molti Fellaz invocano pietà e pregano che l’hotel (già prenotato) sia dietro il prossimo angolo. Il generale malessere non ci impedisce però di sorprenderci alla vista di una deserta, bianca, impeccabile e immacolata Ashgabat. Quella che i Turkmeni chiamano anche “Città dei Sogni”, pare sia stata pensata come inno allo splendore, alla magnificienza e alla perfezione: peccato sia venuto piuttosto male.

Una volta nella fresca e accogliente hall dell’ Ak Altyn Hotel, prendiamo accordi con Max di rivederci verso le 19.30, per un breve tour della città e per una cenetta veloce a base di pietanze locali. Alcuni Fellaz decidono di ristorarsi a bordo della piscina “cloro-free”, altri (Marco e Massimo) non hanno nemmeno le forze per scendere e scelgono di schiacciare un pisolino in camera, con la promessa di raggiungere il resto del gruppo massimo fra un’oretta. Ovviamente tirano dritti fino all’ora del ritrovo, ritardando la partenza e facendo così capire a Max che la puntualità non è proprio il nostro mestiere.
La breve visita inizia con una passeggiata nel Parco dell’Indipendenza, al cui centro è situato un alto obelisco marmoreo chiamato Arco della Neutralità ed eretto per celebrare l’approvazione democratica della politica neutrale adottata da Turkmenbashi (ie. padre dei turkmeni). Il monolite, ci spiega Max, ha un diametro di 27 metri e si erge in altezza per 91, cifre significative in quanto coincidenti con il giorno e l’anno dell’indipenenza del Turkmenistan (27 Ottobre 1991).

Successivamente ci trasferiamo poco fuori dal centro per “ammirare” un monumento alquanto eccentrico dell’altrettanto eccentrico ex-presidente Niyazov. In cima ad una strana costruzione che ricorda una navetta spaziale di un film di fantascienza low-budget degli anni ’30, si trova una statua dorata del suddetto Turkmenbashi la quale, fino a pochi anni fa, era solita ruotare su se stessa seguendo il percorso del Sole. Sfortunatemente per noi non possiamo godere di questa sua particolarità, ma decidiamo comunque di salire in cima per osservare dall’alto una luminosissima, kitchissima e trashissima Ashgabat.

Da lassù scopriamo anche l’esistenza dei Ministeri dell’Amore e della Felicità che, assieme alle microspie nelle camere d’albergo e alle telecamere per strada, sanno tanto di George Orwell Una volta scesi, suppliachiamo la nostra guida di accompagnarci a cenare, nel posticino con cucina tipica del quale si era discusso tempo addietro. Contrariamente a tutto il resto, il locale è quasi totalmente al buio. Max ordina per tutti shiskebap di pollo, montone e maiale contornati da patatine fritte i quali vengono approvati dai nostri stomaci in un tripudio di entusiasmo. Finalmente possiamo concederci pure “qualche” agognata birretta fresca: i bicchieri del primo giro si esauriscono ancor prima di toccare il tavolo ed in totale ne scoliamo circa una ventina.
Verso mezzanotte rincasiamo, disfatti dalle fatiche della giornata e dalla notte in bianco del giorno prima. Non tutti i Fellaz però decidono di buttarsi tra le braccia di Morfeo: Federico e Massimo infatti non demordono e si concedono un giretto alla discoteca dell’hotel solamente per ,a quanto dicono loro, vedere “come butta in Turkmenistan”…