DAY 36 – OLGII

Ci svegliamo come pezzi di ghiaccio, la notte è stata la più fredda da quando siamo partiti e ha addirittura costretto Daniele a dormire dentro Ariosto. Alle 7 il sole non scalda ancora molto, ma siamo già attivi; macinare km è la parola d’ordine dato che da qui in poi non sappiamo cosa ci  riservino le strade.

Ci riscaldiamo con una delle più classiche combo Pane & Benuta™ che tra un picchetto e uno sbadiglio ci fornisce le energie giuste per smontare l’accampamento. Mentre iniziamo a caricare Ariosto un motociclista si avvicina al nostro super mezzo con fare curioso, Marco inizia ad intrattenere l’ospite offrendogli una tazza del nostro caffè creando subito dell’ottimo feeling che poco dopo si conclude con un test drive della classica motina mongola. Nello gasatissimo non si fà pregare e saltato sul velocipede si lancia alla conquista della collinetta più vicina, questo il responso a fine test: La Shiban 150 è una 4 tempi di fattura cinese che unisce l’agilità del Pika alla robustezza dello Yak, fornendo al Mongolo moderno il mezzo ideale per il fuori-porta domenicale, rigorosamente senza casco. Dopo la stretta di mano e l’adesivo di rito sul parafango congediamo il nostro amico proprio mentre in lontananza vediamo arrivare Guillaume, quel matto di un ciclista francese che avevamo incontrato in frontiera. Ci scambiamo informazioni in merito all’itinerario e visto che il passaggio a nord puó riservarsi piuttosto arduo a causa degli svariati corsi d’acqua da guadare decidiamo per la più trafficata strada sud che attraversando i monti Altay conduce fino ad Ulanbataar in circa 5/6 giorni così da minimizzare i rischi di un ritardo per problemi meccanici dovuti agli off-road che ci aspettano da qui in là. Il tempo di una foto in salto e siamo pronti per partire alla volta di Olgii, con Jack alla guida sgommiamo sulla steppa mongola lasciandoci il freddo laghetto alle spalle.

Le strade non esistono più, ed ogni pista si interseca con altre, rendendo la guida tanto difficile quanto divertente.  Nonostante lo sterrato Ariostone risponde bene e dopo aver caricato un autostoppista locale arriviamo a destinazione verso l’ora di pranzo.

Il tempo di ritirare i primi Tugrik e ci immergiamo nel caotico bazaar cittadino, dove andiamo alla ricerca dei famosissimi calzini di cammello che si dice siano caldissimi, l’ideale per le gelide notti di campeggio mongolo. Gli stomaci iniziano a borbottare, quindi si decide di posticipare la ricerca degli agognati calzini a favore di un pranzetto a base di montone. Fede spotta il posticino giusto, il ristorante si presenta con un unica sala spoglia dall’odore pungente ma i prezzi popolari e i khuushuur (frittelle di montone) caldi che vediamo sui tavoli ci convincono a sederci. Ne ordiniamo una valanga e le facciamo sparire con la stessa rapidità con cui Poldo mangia panini.

Appesantiti dalla pappata ci dividiamo in tre gruppi, uno si occupa della spesa per i giorni a venire, l’altro pensa alla cammellata mentre Nello ha solo un obiettivo, le Calosce da guado! Portati a termine i compiti ci ritroviamo davanti ad Ariosto dove ad attenderci troviamo Guillaume e la sua bici in cerca di una scarrozzata fino ad Altay. Senza troppi indugi carichiamo entrambi sopra al Van e riprendiamo la strada per Khovd con Daniele al volante.

Mentre sviaggiamo atuttofoco decidiamo che per oggi il campeggio è l’ultima spiaggia, quindi da bravi fellas decidiamo di tentate la fortuna bussando alla prima gher che scorgiamo all’orizzonte ormai purpureo. Non facciamo in tempo ad avvicinarci che veniamo accolti da due giovani ragazzi che ci invitano ad entrare, sbalorditi per l’accoglienza non ci facciamo pregare e ci introduciamo all’interno della nostra PRIMA gher! La casa della famiglia Barniz è accogliente  e nonostante le dimensioni ridotte è abitata da 7 persone, due adulti e i loro 5 figli..l’organizzazione degli spazi è interessante: i 4 letti sono addossati alle pareti lungo la circonferenza della gher, al centro invece si trovano il tavolo e il cuore della casa: la stufa, alimentata da sterco di cammello secco, dato che in Mongolia di alberi neanche l’ombra. Le pareti sono addobbate con stoffe coloratissime con disegni regolari tipici della zona. Invadiamo la gher che riesce a stento a contenere tutti quanti i 7 fellas più uno e i 7 inquilini attorno alla piccola tavola imbandita di svariate qualità di formaggio, nan e chai salato, niente di più tipico! Iniziamo a sgranocchiare quanto offertoci e tra una foto ed un’improvvisata chiacchierata in mongolo facciamo capire ai gentilissimi padroni di casa di voler ricambiare cucinando per loro una superpastaccia! Gli chef di giornata Daniele & Cristiano si superano e dimostrano le loro doti di pastasciuttari con una tonno & olive da shogno che rompe il ghiaccio e fà fare il bis anche ai non abituati fan del montone. Durante la cena scopriamo che la famiglia di Tumur è piuttosto ricca, infatti il suo pascolo conta circa 400 pecore 50 cavalli 10 mucche qualche yak e una capra. Tiriamo fuori la macchina fotografica attraverso la quale mostriamo diverse foto del nostro viaggio sin lì, l’intera famiglia è raccolta intorno al piccolo schermo ed ad ogni foto è facile leggere la meraviglia sui loro volti. A quel punto non possiamo fare altro che documentare l’avventura, quindi parte il classico giro di foto ricordo che promettiamo di inviargli una volta rientrati in patria.

Chiediamo informazioni riguardo ai cacciatori con aquila ma scopriamo che il più vicino dista 60 km dalla strada principale e purtroppo i tempi stretti non ci permettono la deviazione. La moglie di Tumur ci fà capire che è arrivato il momento di andare a dormire spegnendo il fuoco e chiudendo il tetto della gher. La situazione è strana, non si è capito se siamo stati invitati a dormire al caldo della gher o fuori nelle nostre tende, così i fellas si appropinquano al furgone e proprio nel momento in cui Cri mima il gesto del freddo Timur capisce e ci fà rientrare di corsa nella calda ed odorosa gher, anche stavolta i Goodfellas ce l’hanno fatta!