DAY 15 – FROM SHIRAZ TO ISFAHAN

Riposati come poche altre volte ci è successo, ci risvegliamo in un tripudio di schiacciate, marmellate, formaggi, yoghurt,frutta fresca e secca: la colazione è di eccezione. Mentre buona parte della truppa si organizza per saccheggiare il buffet, Marco e Massimo partono per la missione autoradio pronti a tutto pur di riguadagnare la musica nel pulmino. Il negozio di Ahmed e fratello che troviamo a due passi dall’hotel vende coprisedili, coprivolante (purtroppo nessuno con le fiamme) e autoradio: proprio quello che fa per noi. Per non rifare l’attacco dei cavi non abbiamo altra scelta se non cambiare la vecchia Pioneer con una identica nuovo modello. Regaliamo così una gran soddisfazione ad Ahmed che vende il pezzo forte del suo negozio e ce la monta con un sorriso a 64 denti. Senza dollari a sufficienza per completare l’acquisto, senza riuscire a dare indietro la radio vecchia e senza il beneficio dello sconto, Marco rimane ostaggio del barbuto commerciante, mentre Massimo va a recuperare il resto dei Fellas e la grana. Dopo poco più di un’ora di intimità con Ahmed, Marco si ricongiunge agli altri che, carichi e finalmente accompagnati da musica, partono alla volta di Isfahan. Il nuovo stereo è un gran prodotto: la presa AUX e l’entrata usb per ipod sono un lusso inaspettato che rende il viaggio piacevole nonostante il caldo soffocante, con temperature che non scendono mai sotto i 40 gradi. Oggi il sole picchia particolarmente forte e Jacopo, pilota di giornata, si ritrova con 500 km di abbronzatura sul braccio sinistro: altro che muratore, l’estate 2013 regala una meravigliosa abbronzatura da camionista. Isfahan questa volta è diversa e basta uscire dai viali per entrare in stradine strette che si insinuano tra piccole case a due piani dal tipico tetto piatto, con macchine parcheggiate ovunque e le solite motorette private che ci sorpassano da ogni parte. E’ proprio una di queste a guidarci verso la moschea del Jameh attraverso un labirinto dove Ariosto entra per la prima
volta in contatto con le macchine iraniane. Qui una “drusciata” è la cosa più normale del mondo e la nostra agitazione si perde nell’indifferenza generale. Per il nostro furgone comunque niente di grave, solo una leggera sbaffatura per l’adesivo dell’Ortofloricoltura Giuseppe Menci.

Non facciamo in tempo a parcheggiare che Marco scopre di aver perso il cellulare: non è nello zaino di Jacopo ne ovunque nel furgone, il telefono probabilmente è rimasto a Shiraz. Un po’ scossi dalla notizia veniamo comunque assorbiti dalla magica atmosfera che respiriamo.
Alla moschea del Jameh si accede dal bazaar in cui troviamo bancarelle con manichini improbabili e sarti di chador. Attraversiamo una porta più grande delle altre e ci ritroviamo in un grande cortile. Visto l’orario molti ambienti sono chiusi, ma quello che riusciamo comunque a vedere è molto bello, e una guida improvvisata ci prende letteralmente per mano aiutandoci a capire meglio la storia di questo luogo così affascinante.

 

La cena è al Caffè Salatin con il solito trattamento d’onore che ci accompagna quando c’è di mezzo Caffè River. Lo staff è molto cordiale ma nessuno parla inglese ad eccezione di una bellissima ragazza amica del proprietario e del solito Alì, che ci guida telefonicamente 24 ore su 24.

Oltre ad offrirci la cena, il proprietario si impegna ad aiutarci per la notte anche se alla fine non se ne fa di niente. Scegliamo di dormire all’aria aperta nel bellissimo parco lungo il fiume, tra i fumi del nostro narghilé e il rumore dell’acqua che i giardinieri versano incessantemente su tutto ciò che è intorno.