DAY 20 – FROM ASHGABAT TO DARVAZA

Sveglia di buon’ora al solito per non perdersi la colazione: dobbiamo accumulare più energie possibili poichè la giornata di oggi prevede un intenso viaggio di 5 ore per il deserto con destinazione Darvaza. I russi, negli anni 50, trivellando un po’ a caso alla ricerca di giacimenti di gas, perforarono un terreno cedevole da cui iniziò a sprigionarsi una quantità esagerata di gas. Provarono a esaurire il flusso selvaggio incendiandolo, ottendendo come unico risultato un cratere che arde ormai da più di cinquanta anni. Davanti al buffet incontriamo Tim e Verena (inglese lui, crucca lei), anche loro rallisti come noi ma partiti con il più famoso Mongol Rally. Tim, che aveva già scambiato due parole con Jacopo alla frontiera, con grande curiosità si siede al nostro tavolo con un bicchiere di succo ed un panino nel piatto. E’ un tipo cicciottello dal viso discretamente britannico che inizia a snocciolare aneddoti su aneddoti partendo da esperienze delle precedenti settimane di Rally fino ad alcuni sketch della sua infanzia nel continente nero. Tra questi, meritano una menzione d’onore l’incontro con Nelson Mandela e la storia della costruzione di tutte le strade asfaltate sudafricane da parte del padre. Si presenta come meccanico, boyscout, astronauta con un curriculum da fare invidia a Bear Grills, ha con sè alcuni attrezzi da vero professionista ed ha fatto molti dei visti direttamente alle ambasciate di Instanbul e Tehran. Il loro itinerario è quasi identico al nostro e, tra una tazza di Chai e un consiglio, gli spieghiamo la stranissima legge in merito alla pulizia delle automobili. In Turkmenistan è vietato avere l’auto sporco e se si viene colti in fragrante, si rischia una multa che, dall’equivalente di 50$, può arrivare al sequestro del mezzo.
Sorpreso dalla legislatura locale, Tim decide di portare con Fede, Massimo e Marco la sua auto, insieme ad Ariosto, al lavaggio non lontano dall’hotel. Tornati all’Ak Altyn presentiamo a Max il team Inglese che ci accompagnerà per tutta la giornata e partiamo per il Bazaar di Ashgabat.
Il Bazaar è diverso da tutti i precedenti, la struttura sovietica si articola su tre livelli. Entrando da una parte che vende souvenir di tutti i tipi, accediamo all’area centrale che, sotto una grande copertura, ospita tutto il mercato alimentare. Compriamo verdure, frutta varia per pochi Manat e pranziamo con delle foccaccine ripiene di carne. Alcuni dei Fellaz vanno alla ricerca del tradizionale abito femminile Turkmeno, che si presenta come una veste lunga con tessuti dalle fantasie sgargianti ed il colletto ricamato a mano con trame geometriche. La ricerca si rivela più dura del previsto, sebbene tutte le donne lo indossino con eleganza e rigore, nessuno dei negozi del Bazaar sembra venderlo. Nonostante una padronanza del Turkmeno ancora scarsa e nessun rudimento di Russo, i quattro riescono a svelare l’arcano: l’usanza vuole che si compri la stoffa in negozio e i vestiti vengano prodotti in casa e da sarte. Al piano “-1” trovano il Sacro Graal, in ambienti vicino alle cucini ci sono le botteghe delle sarte di Ashgabat! Max ci ha visto lungo e per non subirsi un’ora di shopping con 8 italiani, un inglese ed una tedesca ci aspetta al furgone alle 2 in punto. Ovviamente le 2 in punto non esistono, come non esiste Babbo Natale, i Licantropi e i lupi mannari.. ma questo il buon Max non poteva saperlo, non avendo ancora capito con chi sta avendo a che fare. I principi del ritardo, ambasciatori della mezz’ora accademica e protettori dell’ “un attimo e arrivo subito”, si presentano al furgono insieme a Verena ben dopo le 3, felici dei loro vestiti finalmente cuciti e personalizzati. Max accusa il colpo, dopo un’ora di telefonate, giochi con le dita, una sigaretta dietro l’altra e scoperto vita morte e miracoli di Tim (che in quanto a parlantina mette a dura prova anche Marco) è effettivamente un po’ nervoso.
Dobbiamo arrivare a Darvaza prima del tramonto, la strada è tanta e sconnessa e anche guidando “come i locali” stiamo davvero a pelo con i tempi. Ci fermiamo sotto casa della guida per ritarare i Sashliky che ci ha preparato insieme alle bottiglie di acqua ghiacciate e, con la Skoda Fabia rossa di Tim al seguito, prendiamo la strada in direzione Nord. La bolla di perfezione in cui è rinchiusa Ashgabat si rompe non appena si esce dalla periferia della città, ci troviamo a guidare per una strada che per definirsi tale dovrebbe almeno avere segnaletica orizzontale, verticale e un nastro d’asfalto continuo. Le buche sono tante e di qualità e con Ariosto a pieno carico si fanno sentire, rendendo la guida molto impegnativa e il viaggio simile ad un elettrostimolazione prolungata: il primo vero e proprio tratto da rally. Kilometro dopo kilometro superiamo la diffidenza iniziale verso Max, vuoi perchè imposto dal regime, vuoi perchè lo abbiamo pagato contro voglia e perchè lo abbiamo visto come un giogo alla nostra libertà, non avevamo accolto il ragazzo Turkmeno con grande calore. Ci spiega che conviene sempre guidare nella corsia di sinistra perchè i camion vanno verso verso Nord a pieno carico e tornano a Sud scarichi, rovinando molto meno il manto stradale. Nel transit la formazione per Darvaza è schierata con un 2-6-1, con Marco alla guida, Max al posto della suocera, centrocampo schierato stretto con Massimo, Fede, la Laura, Jack e Cristiano e Daniele a chiudere in terza fila. Il tutto per riuscire a giocare a Solo guardandosi il più possibile le carte e rubando come non mai.
A seconda delle condizioni dell’asfalto Max (che capisce l’Italiano ma non lo parla) ci guida con quattro parole: atuttofoco, stocazzo, bellafica e andiamo. La strada non migliora, anzi, ma con il tempo che stringe si cerca di mantenere una media di 90 km/h per quanto possibile. Proprio mentre Jacopo cala il temutissimo “+4”, dal sedile del guidatore si sente uno scoppio fortissimo e il fumo bianco invade tutta la prima fila. Massi, che era di spalle, si spaventa come l’Elio quando vede le api e inizia a urlare preoccupato. Nel panico totale, Marco spegne il motore e tranquillizza tutti: anche stavolta Ariosto mantiene la sua fama, per lui niente di grave, una buca deve avere attivato l’airbag che è scoppiato con un gran rumore ma poche conseguenze. Tanto fumo e poco Ariosto.


Il viaggio prosegue a velocità sostenuta, con un paio di pause, una delle quali per assaggiare il latte di cammello.

Sono le 8 e siamo a Darvaza, per raggiungere il cratere lasciamo Ariosto parcheggiato, dovendo fare qualche kilometro con tutto l’occorrente per la notte a bordo di un pickup Toyota, guidato da un Russo-Turkmeno di nome Andrey. Che figata! Dato che non entriamo tutti nella cabina, sono Jack e Cri i fortunati che si fanno 7 Km nel deserto accovacciati sul cassone del pickup, con Andrey che corre come una matto.

Tra sgommate e salti, arriviamo al campo base ma il cratere ancora non si vede, nascosto da una duna. Basta fare 100 mentri però che ci si trova davanti alla bocca dell’inferno: è impressionante. Lo spettacolo aumenta al calare del sole, con il buio che si impadronisce del deserto, le fiamme sempre più intense e i fumi che insieme alla sabbia creano dei giochi di luce suggestivi.


Al campo base, con la colonna di sonora di musica dance russa scelta da Andrey, Massi ingaggia un duello di sughi con Tim, mentre Max mette alla brace il pollo che ci ha preparato. Tempo un’ora e siamo tutti a sedere sul tappeto per decretare il vincitore: Massi si aggiudica la sfida su Tim che comunque si difende con onore.


Abbiamo evitato di raccontarlo, ma nell’ultima settimana ci sono stati degli screzi tra i fellaz…Gigione il nano si è attirato le ire del gruppo per i suoi comportamenti egoisti ed è arrivato ai ferri corti con tutti. Dopo essere caduto per l’ennessima volta sugli stinchi di Cristiano abbiamo deciso che gliela avremmo fatta pagare. E quale punizione migliore se non tirarlo nel fuoco per fargli espiare i suoi peccati?
Prima del classico narghilè più chaino ci muoviamo verso il cratere per fare quello che andava fatto da tempo, scaraventiamo Gigione tra le fiamme tra le facce incredule e divertite degli altri presenti. Soddisfatti della nostra vendetta ci accucciamo sotto il cielo stellato di Darvaza.