DAY 41 – FROM SHARGALJUUT TO ARVAIKHEER

Buongiorno Goodfellas!
Nonostante il lieve odore di capra che aleggia nella gher, un piacevole risveglio accompagnato da Benuta, marmellata, chaino e caffè ci da la giusta carica per iniziare la giornata. Oggi il programma prevede relax: ci troviamo difatti in una nota località termale mongola, conosciuta per le proprietà curative delle sue sorgenti caldissime. Dopo giorni di strade ad ondine e sabbia in ogni dove, abbiamo deciso che un po’ di meritato riposo è quello che ci serve per arrivare ad UlaanBaatar in forma smagliante.


Il gentiluomo che ci ha affittato la gher ci aiuta a trasportare le nostre attrezzature sopra Ariostone, dove vengono riposizionate ordinatamente da Marco, Fede e Lau, mentre Cristianuccio, Jack e Daniele si dedicano a immortalare qualche yak.

Poco dopo ci dirigiamo in paese e ci equipaggiamo per esplorare il cammino curativo. Il percorso consiste in diverse costruzioni di pietra contrassegnate da cartellini i quali indicano le proprietà di ciascuna sorgente, ovviamente in lingua mongola. Non vi è un tragitto specifico da rispettare, ma noi, in men che non si dica, riusciamo a prendere diverse direzioni, aka, ci dividiamo. Parlando con una nonnina che incredibilmente mastica qualcosina d’inglese, riusciamo a scovare una casupola, che per un attimo pensiamo esser una vasca termale. Con nostro immenso stupore, scopriamo che dietro la tendina (porta) ci sono tre vasche impiantate nel pavimento: servono per mettere a bagno i piedi nell’acqua. L’illusione di poterci fare una doccia dopo 5 giorni di deserto per un attimo sembrava diventare realtà, ma prima di farci scoraggiare, la cara vecchina corre in nostro aiuto, indicandoci un’altra casupola. La seconda è quella della svolta: la tendina nasconde il triumvirato di vasche servite da acqua termale che sgorga da un tubo.. vi chiederete, quindi? Ebbene si, quei furboni hanno posto un secchiello vicino ad ogni vasca: evviva i sistemi tradizionali! La nostra euforia non fa che aumentare alla notizia che il tutto è completamente gratuito! Lucia e Daniele da una parte, e Marco dall’altra, danno il via alle danze, mentre Federico e Jacopo, catturati da una ragazza che parla inglese, ne approfittano per esplorare l’itinerario e scoprire i segreti che si celano dietro ogni sorgente. E’ proprio il caso di dire: una doccia lunga un sogno. Poco a poco riusciamo tutti a farci il bagnetto, a lavare i panni, e a respirare i fumi caldi delle sorgenti per stappare nasi e pori della pelle.

Più rilassati che mai, decidiamo di culminare questa mattinata idilliaca, con sano e puro cibo mongolo alla buona. Laura e Lucia si avventurano e, dapprima, vengono attirate nel locale di un omone panciuto e palesemente in preda ad una sbronza da vodka che le accoglie a petto nudo insinuando di esser un gran cuoco, ma in seguito optano per il secondo e ultimo ristorantino della zona che è proprio nella porta accanto.

Il luogo prescelto per saziare la nostra fame è niente più che una stanza con due tavoli e otto sedie, una lista di 7 piatti (ovviamente in mongolo), e due donne e una ragazza che lavorano in cucina. Raduniamo il gruppo, incoscienti del fatto che ordinare da mangiare sarebbe stata un impresa più ardua del previsto. Il momento è catartico: Lucia e Laura cercano di utilizzare qualsiasi strumento a loro disposizione per comunicare, guida, disegni, segni con le mani e versi di animali ma non c’è modo di capire che caspita ci sia nei 7 piatti elencati nel menù.  Alla domanda “qui c’è bee o muuu”, la risposta della ragazza è “meeee”.

Dopo 20 minuti, quando la scelta random sembrava esser l’ultima spiaggia, la ragazza che ha accompagnato Fede e Jacopo, unica parlante di lingua inglese del paesino, accorre in nostro aiuto. Non solo ci spiega i vari piatti, ma ci aiuta anche ad ordinare, e ci regala 10 bustine di thè verde e due confezioni di biscotti con la mucchina sopra e il cioccolato sotto. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma non poteva finire di certo senza vedere l’omone ubriaco che seduto sulle scale si dedicava a quello che crediamo esser uno dei suoi sport preferiti: dare fuoco ad una testa di capra con una piccola fiamma ossidrica, sorseggiando l’immancabile vodka.

Sazi e soddisfatti, ci mettiamo in marcia con Jack alla guida. Data l’esperienza della sera precedente, ci aspettavamo di rifare lo stesso tragitto (5 guadi, di cui 2 notevolmente pericolosi, diverse salite con terreno fangoso, e un letto del fiume insabbiato), ma incredibilmente nel giro di 30 minuti ci ritroviamo al bivio con la strada principale in direzione Arvaikheer, quindi optiamo per una sosta a base di tiri a pallone, foto in salto e liberazioni di intestini da eccesso di carne di montone.

Ci rimettiamo in marcia per trovare poco dopo la tanto bramata strada asfaltata, che ahimè, si rivela esser un’enorme delusione. L’asfalto c’è, ma anche diverse buche, il che non ci consente di andare ad una velocità superiore ai 60 km/h. Riusciamo comunque a raggiungere il nostro scopo, superare Arvaikheer, e spingerci oltre per circa 30 km, seppur a sera tarda, fino a quando Jack, Marco e Fede scovano una vallata dove decidiamo di fermarci a passare la notte.
Oramai super organizzati, ognuno ha la sua mansione: Lucia, Daniele, Jack e Fede montano le tende, Laura, Marco e Cristiano cucinano, e, da bravi cuochi, per questa sera ci deliziano con ben due tipi di pasta: pesto e pomodoro, e pasta e fagioli. Non siamo soli però: un cane pastore mongolo ci ha accolto e avendo subito afferrato che siamo gente tosta, ci ha tenuti d’occhio tutta la sera!
Pur rendendoci conto che la cacca è un tema predominante dei nostri racconti, non possiamo fare a meno di sottolineare che è sempre un’ottima mossa strategica per riscaldarci: la temperatura diminuisce al calar del sole, ma lo sterco di cammello riesce comunque a regalarci un piccolo falò piuttosto profumato in questa terra straordinaria. Sono questi momenti che ci fanno urlare “GOODFELLAAAS”, prima di coricarci stretti stretti dentro le tende con le pance ancora piene di fagioli e la consapevolezza di esser ad un passo dall’arrivo.